Saturday, November 29, 2008

Riporto con molta tristezza questo articolo apparso stamane su Repubblica.
In quel laboratorio della morte ci ho lavorato anch`io , negli anni universitari , quando andare a fare un esame nella mia facolta` , farmacia, non era andare a verificare la propria preparazione, ma piuttosto sfidare la sorte, aspettare ore e ore davanti alle porte dei "Baroni", per poi farti mandare a dire da qualche baronetto : venite domani , oggi il Barone e` stanco , continuera` domani.
I nomi che appaiono sull`articolo per me hanno un volto , chiaro , netto.
Ricordo la Dottoressa Sarva` come fosse ieri... , mi rattristai molto quando appresi della sua morte .
Si parla tanto in questo periodo della scuola , della riforma dell`Universita` , degli edifici scolastici che cadono a pezzi , dei cervelli in fuga...
"Il laboratorio della morte ", non e` altro che una rappresentazione macabra di questo decadimento italiano . Il nostro governo ha varato tagli alla ricerca , Berlusconi chiama fatalita` il crollo della scuola di Torino ... . L`aria che si respira adesso in Italia e` proprio come l`aria che si e` respirata fino adesso nel laboratorio della morte : pesante , tossica , come le sostanze che Emanuele ha respirato per anni . I giovani italiani cercano una boccata di ossigeno , ma le "cappe" messe a disposizione dal nostro governo sono vecchie , inadeguate , non a norma . Piu` volte mi hanno domandato : Perche` non torni a Catania, magari ti potresti sistemare all`universita`. Io rispondo : No grazie .Ho bisogno di ARIA PULITA.











CATANIA - Lo chiamava "il laboratorio della morte". A Raffaella, la sua fidanzata, a
suo padre Alfredo, lo aveva detto più volte: "Quel laboratorio sarà anche la mia tomba". Una stanza di 120 metri quadri, tre porte e tre finestre non apribili, due sole cappe di aspirazione antiche e inadeguate e tutte le sostanze killer, le sue "compagne" di studio e lavoro lasciate lì sui banconi, nei secchi, in due frigoriferi arrugginiti: acetato d'etile, cloroformio, acetonitrile, diclorometano, metanolo, benzene, con vapori e fumi nauseabondi e reflui smaltiti a mano.

Lì dentro il laboratorio di farmacia dell'Università di Catania nel quale sognava di costruire il suo futuro, Emanuele, "Lele" Patanè, negli ultimi due anni aveva visto morire e ammalarsi, uno dietro l'altro, colleghi ricercatori, studenti, professori amministrativi: Maria Concetta Sarvà, giovane ricercatrice, entrata in coma mentre era al lavoro e morta pochi giorni dopo; Agata Annino stroncata da un tumore all'encefalo; Giovanni Gennaro, tecnico di laboratorio, ucciso anche lui da un tumore. E poi quella giovane ricercatrice, al sesto mese di gravidanza, che aveva perso il bambino per mancata ossigenazione. E diagnosi di tumori a raffica: per uno studente, per una docente, per la direttrice della biblioteca, per un collaboratore amministrativo. Fino a quando, nel dicembre 2003, è toccato a lui. Ad Emanuele, 29 anni, un ragazzone forte e sportivo, laureato con 110 e lode, idoneo all'esercizio della professione farmaceutica, dottore di ricerca, stroncato in meno di un anno da un tumore al polmone.

Il suo diario, adesso, è finito agli atti dell'inchiesta che tre settimane fa ha portato al sequestro e all'immediata chiusura del laboratorio di farmacia dell'Università e alla notifica di avvisi di garanzia per disastro colposo ed inquinamento ambientale all'ex rettore dell'Università ed attuale deputato dell'Mpa Ferdinando Latteri e al preside della facoltà Angelo Vanella, ad altri sette tra docenti e responsabili del laboratorio di farmacia. Da anni, ha già accertato l'indagine, sostanze chimiche e residui tossici utilizzati giornalmente venivano smaltiti attraverso gli scarichi dei lavandini, senza alcuna tutela per chi in quel laboratorio studia e lavora. Adesso, dopo la denuncia dei familiari di Emanuele Patanè, alle ipotesi di reato si è aggiunta anche quella di omicidio colposo plurimo e lesioni. Per i cinque morti e i dodici ammalati che negli ultimi anni in quegli ambienti hanno vissuto.

"Quello che descrivo è un caso dannoso e ignobile di smaltimento di rifiuti tossici e l'utilizzo di sostanze e reattivi chimici potenzialmente tossici e nocivi in un edificio non idoneo a tale scopo e sprovvisto dei minimi requisiti di sicurezza". Così Emanuele comincia le cinque pagine datate 27 ottobre 2003, tre mesi prima della sua morte. È stato l'avvocato Santi Terranova a consegnare in Procura il tragico diario ritrovato nel computer del giovane ricercatore. Nei giorni scorsi, dopo aver sentito del sequestro del laboratorio disposto dal procuratore di Catania Vincenzo D'Agata, l'anziano padre di Emanuele, Alfredo Patanè, 70 anni, si è ricordato di quelle pagine lette nel pc del figlio.

"Quel memoriale Lele lo voleva consegnare ad un avvocato per denunciare quello che accadeva lì dentro, che lì dentro si moriva - racconta - Ma l'avvocato a cui si era rivolto gli aveva detto che ci volevano dei testimoni perché contro i "baroni" dell'Università non l'avrebbe mai spuntata...". Adesso saranno i sostituti procuratori Carla Santocono e Lucio Setola a valutarne la valenza.

Emanuele evidentemente si rendeva conto delle condizioni di estremo pericolo in cui lavorava, ma la paura di perdere la sua opportunità di carriera deve averlo fatto continuare. E così particolarmente grande fu la sua amarezza quando il coordinatore del dottorato di ricerca, Giuseppe Ronsisvalle, ("nonché proprietario della facoltà di Farmacia", scrive) gli negò la borsa di studio, a lui, unico partecipante al concorso, solo perché ormai ammalato di tumore. Meglio conservare la borsa di studio per l'anno successivo per un altro studente. "Io non avevo nessuna raccomandazione - scrive Emanuele - mi chiedo come sia possibile che un concorso pubblico venga gestito in questo modo, senza nessuna trasparenza, legalità, senza nessun organo di controllo".

Lele racconta così i suoi due anni trascorsi in quel laboratorio, fino al luglio 2002, quando anche per lui arrivò la terribile diagnosi. "Durante il corso di dottorato, trascorrevo generalmente tra le otto e le nove ore al giorno in laboratorio per tutta l'intera settimana, escluso il sabato. Non c'era un sistema idoneo di aspirazione e filtrazione, c'erano odori e fumi tossici molto fastidiosi e spesso eravamo costretti ad aprire le porte in modo da fare ventilare l'ambiente". C'erano due cappe di aspirazione antiquate "quindi lavorare lì sotto era lo stesso che lavorare al di fuori di esse". "Dopo la diagnosi della mia malattia, cioè nel 2002, una di questa cappe è stata sostituita con una nuova. Le sostanze chimiche, i reattivi ed i solventi erano conservati sulle mensole, sui banconi, in un armadio sprovvisto di sistemazione di aspirazione e dentro due frigoriferi per uso domestico tutti arrugginiti. Dopo avere trascorso l'intera giornata in laboratorio avvertivo spesso mal di testa, astenia ed un sapore strano nel palato come se fossi intossicato".

Lele aveva annotato uno per uno tutti i suoi colleghi scomparsi e ammalati: "Sono tutti casi dovuti ad una situazione di grave e dannoso inquinamento del dipartimento e sicuramente non sono da imputare ad una fatale coincidenza. La mancata accortezza nello smaltimento dei rifiuti tossici e l'utilizzo di sostanze e reagenti chimici in assenza dei minimi requisiti di sicurezza ha nuociuto e potrà ancora nuocere se non verranno presi solerti provvedimenti". Ma nessuno, fino alla presentazione dell'esposto da parte dei familiari di Emanuele, si era accorto che quel laboratorio si era trasformato da anni in una fabbrica di morti.

4 comments:

Ciambellina said...

Ciao Tizi,
Ho trovato un tuo commento sul blog Artistic Sublimation e sono venuta ora a dare un'occhiata al tuo blog. Mi piace! Sembra che noi tre abbiamo in comune questa vita vagabonda.

Mi piacerebbe se tu dessi un'occhiata al mio blog. Lo scrivo in italiano e inglese. Ti auguro un buon soggiorno a Madrid, che e' una citta' favolosa (anche se ora, come dici, i volti ti restano tutti sconosciuti). Vai a mangiare al Museo del Jamon!

Artistic Sublimation said...

Ho pensato la stessa cosa di Ciambellina, sembra proprio che noi tre abbiamo avuto qualcosa in comune.
Il tuo blog somiglia per molto versi al mio, mi fa piacere trovare qualcuno "vicino".
A Madrid non ci sono mai stata, ma stiamo parlando di Spagna e tu che sei stata in America per 4 anni puoi capire di cosa parlo!
Bello saper che ci sei e che ti racconti!
Grazie!

nonsisamai said...

non sai quanto mi dispiace.
grazie per l'articolo, mi accorgo che seguo sempre di meno le notizie dall'italia, e' frustrante...

Anonymous said...

Mi chiedo solo se un giorno riusciremo a venirne fuori da questa situazione ALLARMANTE. Sento dentro di me l'angoscia per ciò che succede in questa Italia e l'impotenza...il pensiero di non riuscire a cambiare nulla nonostante ci si provi.